TRIBUNALE DI MONZA Sezione Unica Penale Il Tribunale di Monza - in composizione monocratica - in persona del giudice dott.ssa Sonia Mancini; letti gli atti del procedimento penale a carico di Salvioni Massimo, nato a Mariano Comense il 23/09/1967 imputato del reato di cui agli artt. 81 cpv C.P. e 10-bis d.lgs. 74/2000 perche', con piu' azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, in tempi diversi, quale legale rappresentante della societa' "Eurofustel di Salvioni Massimo & C. SNC", non versava, entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto d'imposta per l'anno di imposta 2009, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare complessivo di 53.772,00 euro e per l'anno di imposta 2010, ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti per un ammontare complessivo di 77.541,00 euro. Accertato in Giussano, commesso il 2/08/2010 e 1/08/2011 preso atto della questione di legittimita' Costituzionale sollevata dagli avv.ti Massimo Redaelli ed Ettore Trezzi del foro di Monza, a parer dei quali "appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 nella parte in cui prevede una soglia di punibilita' inferiore a quelle stabilite, rispettivamente per i delitti di omesso versamento IVA, dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione, dagli artt. 10-ter, 3, 4 e 5 del medesimo decreto legislativo, prima delle modifiche introdotte dal d.l. n. 138 del 2011" Dispone come da seguente ordinanza 1) La questione e' rilevante ai fini del decidere. Dall'istruttoria sin ora svoltasi (acquisizione di tutti gli atti di accertamento della G.F. ed escussione di un teste della pubblica accusa) risulta, infatti, che l'imputato, quale rapp.te legale della societa' "Eurofustel Di Salvioni Massimo & C. SNC", ha omesso il versamento delle ritenute IRPEF (e relative addizionali) da lui stesso trattenute e certificate quale sostituto di imposta dei lavoratori autonomi e dipendenti in essa impiegati, per un ammontare complessivo di euro 53.772,00 (con riferimento all'anno 2009) e di euro 77.541,00_(con riferimento all'anno 2010). Risulta, dunque, superata la soglia di punibilita' di € 50.000 fissata dall'art. 10-bis d.lgs. 74/2000. Allo stato degli atti, quindi, l'imputato - non essendo emersi elementi di prova a discarico ne' potendosene, altrimenti, escludere la punibilita' - dovrebbe essere dichiarato responsabile dei reati a lui ascritti e condannato. Ove, viceversa, si dovesse ritenere detta norma incostituzionale nel senso ipotizzato dalla difesa, trattandosi di omissioni commesse in data anteriore al 17 settembre 2011 per un valore complessivo inferiore ad euro 103.291,38, l'imputato dovrebbe essere mandato assolto perche' il fatto non sarebbe piu' previsto dalla legge reato (o perche' il fatto non sussiste). 2) La questione non e' manifestamente infondata La difesa dell'imputato assume, in buona sostanza, l'illegittimita' costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 poiche', in palese violazione del principio di uguaglianza, per i fatti commessi sino al 17 settembre 2011 continua a sanzionare le condotte di omesso versamento delle ritenute risultanti dalle certificazione dei sostituti di imposta per importi superiori ad euro 50.000 ma inferiori ad euro 103.291,38, nonostante oggi l'art. 10-ter d.lgs 74/2000, che prende in considerazione la fattispecie del tutto analoga di omesso versamento dell'IVA, all'esito dell'intervento della Sentenza della Corte Cost. n. 80 del 7 aprile 2014, preveda la penale irrilevanza di quella medesima condotta (purche' consumatasi entro il 17 settembre 2011) riferita, pero', all'imposta sul valore aggiunto. Ebbene, e' noto che la Sentenza della Corte Costituzionale citata, per i fatti consumatisi prima del 17 settembre 2011 (data in cui e' entrato in vigore il d.l. 138/ 2011, convertito con legge 148/2011 che ha ricondotto a razionalita' l'intero sistema delle soglie di punibilita' in materia fiscale) ha ritenuto incostituzionale l'art. 10-ter d.lgs. cit. nella parte in cui puniva le condotte di omesso versamento dell'IVA (che era stata, dunque, correttamente dichiarata) gia' a partire da importi pari o superiori a 50.000 euro mentre, nel contempo, considerava penalmente irrilevanti le ben piu' insidiose ed offensive condotte di fraudolenta dichiarazione sanzionate dagli art. 3, 4 e 5 del d.lgs. 74/2000 quando non avessero determinato una evasione superiore ad euro 77.468,53 (nei casi di cui agli artt. 3 e 5) o ad euro 103.291,38 (nei casi di cui all'art. 4). La Consulta ha, quindi, concluso che le condotte di omesso versamento IVA poste in essere prima del 17 settembre 2011 che non superino la soglia di euro 103.291,38 fissata dal legislatore ante riforma nell'ipotesi meno grave di fraudolenta dichiarazione (rispetto alla quale deve razionalmente ritenersi quanto meno parificata l'ipotesi di cui all'art. 10-ter) devono considerarsi penalmente irrilevanti. E' chiaro, tuttavia, come la pronuncia della Consulta abbia basato il proprio ragionamento sulla palese irrazionalita' di un sistema sanzionatorio che pur prendendo in considerazione condotte di insidiosita' ed antigiuridicita', via via, oggettivamente crescente, prevedeva soglie di punibilita' del tutto distoniche rispetto a quella stessa gradazione finendo per punire meno gravemente chi avesse gia' "a monte" omesso od alterato la propria dichiarazione dei redditi al fine di evadere il pagamento dell'IVA, rispetto a chi ne avesse semplicemente "a valle" omesso il pagamento riservando, quindi, un trattamento piu' sfavorevole a chi avesse dichiarato i propri redditi onestamente, rendendo, peraltro, agevole l'accertamento a proprio carico. E', pertanto, fuori questione la possibilita' che quello stesso ragionamento possa essere esteso all'art. 10-bis d.lgs. 74/2000 dal momento che l'omesso versamento delle ritenute certificate (diversamente dall'omesso versamento IVA) e' condotta a se' stante priva di correlazioni fattuali con i reati di cui agli art. 3, 4 e 5 del decreto citato. Questo e' anche il motivo per cui non si ritiene la questione risolvibile attraverso un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 10-bis, che secondo alcuni, gia' oggi potrebbe essere applicato mediante richiamo al nuovo significato assegnato all'art. 10-ter dalla Consulta. Cio' premesso, non si condivide, pero', quell'orientamento che va affermandosi presso i Giudici di merito investiti dalla medesima questione, secondo cui questa considerazione, insieme alla oggettiva diversita' della tipologia di imposta, escluderebbero in nuce la possibilita' di estendere il sindacato di costituzionalita' anche all'art. 10-bis sotto il profilo del rispetto del principio di uguaglianza. E' vero, infatti, che l'IVA (imposta applicata sul valore aggiunto di ogni fase della produzione, scambio di beni e servizi) e l'IRPEF (imposta sul reddito delle persone fisiche, diretta, personale, progressiva e generale) sono tributi diversi tra loro con riferimento, soprattutto, al sistema di riscossione rimesso, nel secondo caso, all'affidamento che il soggetto colpito e l'ente creditore, fanno su un terzo (sostituto di imposta) che lo trattiene immediatamente sulla retribuzione versandolo solo successivamente al fisco. E' vero, altresi', che per questo motivo potrebbe considerarsi comunque non iniquo ne' irrazionale (e dunque immune da censure di incostituzionalita') il trattamento sanzionatorio piu' severo che oggi, dopo la Sentenza della Corte, risulta riservato all'omesso versamento delle ritenute rispetto all'omesso versamento dell'IVA, potendosi far rispecchiare (sebbene, ex post) questo maggior rigore nella maggior offesa connessa alla lesione di quell'affidamento. E', tuttavia, altrettanto vero che questo disallineamento sanzionatorio non e' stato il frutto di una scelta legislativa ma l'effetto, peraltro indiretto, di un intervento della Corte costituzionale che ha di fatto comportato uno stravolgimento delle valutazioni che il Legislatore - nell'esercizio delle sue prerogative - aveva gia' operato in merito al disvalore da riconoscere alle condotte in oggetto cui aveva assegnato pari rilevanza penale. Il fatto, quindi, che il Legislatore nell'ambito dei poteri costituzionalmente riconosciutigli, abbia sempre trattato le due ipotesi in modo assolutamente identico, e cio' vuoi con riferimento alle soglie di punibilita' che all'identificazione della cornice edittale della pena applicabile, e' sintomo inequivocabile del fatto che egli, nonostante la parziale diversita' delle due tipologie di imposta, ha comunque ritenuto di assegnare a quelle condotte un disvalore assolutamente identico; deve, quindi, escludersi la possibilita' che, in concreto, si possano valorizzare quegli stessi elementi di difformita' gia' considerati ininfluenti dall'organo legislativo (con scelta, del resto, mai sindacata sotto il profilo della legittimita' costituzionale), al fine di ritenere - ex post - equo e razionale un sistema sanzionatorio totalmente diverso venutosi a creare quale conseguenza solo indiretta della dichiarazione di incostituzionalita' de qua. L'intervento della Sentenza n. 80 della Corte costituzionale ha, infatti, alterato un'espressione di valore operata dal legislatore in maniera assolutamente "esplicita e non casuale": ed invero, quando 1' art. 35 comma 7 del d.l. 223/2006 (convertito con l. 248/20069) ha inserito l'art. 10-ter al d.lgs. 74/2000 introducendo nell'ordinamento il reato di "omesso versamento IVA" ha adottato la tecnica del rinvio nella descrizione della fattispecie che, quindi, anziche' essere indicata analiticamente nei suoi elementi oggettivi (ivi comprese le soglie di punibilita') e soggettivi era, ed e' tuttora, disegnata mediante un richiamo integrale e mobile proprio alla fattispecie descritta dall'art. 10-bis (introdotto a sua volta dall'art. 1 comma 414 della l. 311/2004). Appare, dunque, chiara e manifesta la volonta' del Legislatore di trattare in maniera identica le due ipotesi di reato sulla base di una evidente valutazione (peraltro, mai sindacata in sede Costituzionale) di assoluta parificazione delle due fattispecie sotto il profilo del disvalore penale da esse espresso, disvalore che ben puo', dunque, essere identico anche con riferimento ad ipotesi di reato parzialmente diverse. Il sistema sanzionatorio venutosi a creare per effetto della pronuncia della Consulta, pertanto, puo' e deve, essere a sua volta sottoposto al vaglio di costituzionalita' richiesto, affinche' l'intero assetto normativo e sanzionatorio sia ricondotto ad equilibrio nel rispetto di un principio di uguaglianza sostanziale e formale non solo per come esso e' inteso in astratto dall'art. 3 della Costituzione ma, anche, per come esso e' stato storicamente e concretamente interpretato dal Legislatore nell'ambito delle prerogative assegnategli dalla stessa Carta. Alla luce di quanto sostenuto convincono, quindi, le argomentazioni gia' espresse nell'Ordinanza di remissione alla Corte Costituzione del Tribunale di Verona del 21 luglio 2014, poiche' "al di la' di un'analisi della natura fiscale dell'imposta sul valore aggiunto e delle ritenute effettuate quale sostituto d'imposta, a dare prova e sostanza decisiva al fatto che le due situazioni sono esattamente sovrapponibili e identiche sotto il profilo del disvalore penale e' proprio la struttura degli artt. 10-bis e 10-ter. Tale ricostruzione trova, del resto, conferma storica nel d.l. 138/2011, convertito con legge 148/2011 con cui ancora una volta, il legislatore pur rimaneggiando l'intera sistema delle soglie e delle pene nell'ambito dei reati inerenti le violazioni finanziare, ha mantenuto del tutto inalterata la parificazione assoluta tra le fattispecie suddette. Si ritiene, dunque, non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10-bis d.lgs. 74/2000, con riferimento all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, punisce l'omesso versamento delle ritenute risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti anche per importi inferiori a 103.291,38 euro.